Si Ritorna In India: Sulle Orme dei Maestri Siddha con Daniel Lumera: Diario di Viaggio

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Giorno 1 | Inizio di un Pellegrinaggio verso l’Unità del Sé

Siamo atterrati ieri e oggi inizia il nostro pellegrinaggio sulle orme dei maestri Siddha,

figure straordinarie vissute anche millenni fa nel Tamil Nadu,

portatrici di una conoscenza incredibile.

Sono stati i primi a parlare di immortalità e a sviluppare tecniche legate alla longevità e al ringiovanimento del corpo, attraverso la respirazione consapevole e gli stati rigenerativi della mente.

Gli stati contemplativi e meditativi hanno dato origine a una scienza filosofica straordinariamente avanzata per il loro tempo, che, alla luce delle moderne neuroscienze, sta tornando alla ribalta.

Domani visiteremo uno dei templi più antichi:

il viaggio vero e proprio inizierà, passo dopo passo.

È bellissimo pensare di portarvi con me, condividendo piccole pillole e suggestioni di cosa significhi, più che un viaggio, un pellegrinaggio in India.

Stiamo studiando il Tirumandiram, un testo di uno di questi grandi maestri Siddha.

A questa tradizione appartiene anche Patanjali, autore degli Yoga Sutra, capolavori filosofici di immenso valore.

Ma il Tirumandiram ha qualcosa di unico:

una profondità devozionale e una specificità nelle tecniche che trovo incredibili.

Inizia con un mantra speciale

La ripetizione di questo suono richiama alla mente un’idea fondamentale: tutto è uno, tutto è parte di un’unica coscienza.

Questo mantra aiuta a superare quella frattura percettiva che ci fa sentire separati dal resto, una sensazione che permea la nostra vita quotidiana.

Uno degli insegnamenti più affascinanti dei maestri Siddha riguarda la distinzione tra ego e personalità.

Secondo loro, l’ego non è altro che uno stato percettivo: il pensiero “Io”, ovvero la sensazione di essere un’entità separata da tutto il resto.

Non siamo consapevoli né dell’interconnessione né dell’interdipendenza che regolano la vita.

Pensate: spesso sentiamo il bisogno di “immergerci nella natura”, come se la natura fosse qualcosa di separato da noi. Questo stato percettivo, secondo i Siddha, deve essere guarito.

Dall’ego nasce poi la nostra personalità, un costrutto identitario basato su questa frattura percettiva.

Ci identifichiamo in ciò che facciamo, negli eventi del nostro passato, nella famiglia, nella società. Ma per questi maestri, sia l’ego che la personalità sono illusioni.

La nostra vera natura è il Sé, che è estatico, saggio e luminoso.

La buona notizia è che ognuno di noi può iniziare un cammino di conoscenza per utilizzare in modo funzionale l’ego e la personalità, trasformandoli in strumenti per esprimere valori profondi.

Ma soprattutto, possiamo scoprire e sperimentare direttamente la natura del Sé.

Questo è il cammino che affronteremo nei prossimi giorni, visitando i luoghi dove questi grandi maestri hanno raggiunto il loro jiva samadhi, lo stato più alto di realizzazione.

Grazie per essere con me in questo viaggio. Ogni giorno condividerò un piccolo commento sul viaggio, sul mantra e sulle pratiche che stiamo sperimentando. Intanto, buona India!


Giorno 2 | Arunachala: Dove il Silenzio Interroga l’Anima

Arrivare in India è un’esperienza totalizzante.

Sento una trasformazione che parte dal corpo fisico: una sensazione profonda di pace e di rilascio. Questo luogo, nonostante i contrasti – povertà estrema e ricchezza, antichità e modernità che si mescolano – trasmette un’energia unica.

Graniti e plastica, preghiere e tecnologia, vita e morte, povertà e sfarzo: tutto convive. E in mezzo a questi contrasti, dentro di me avviene un profondo lasciare andare. Riesco a percepire la perfezione della vita, così com’è, anche nel dolore e nella disperazione, ma anche in quella devozione incredibile che si respira ovunque.

Il motore dell’India è la devozione. Nel mio corpo accade qualcosa di unico: una rigenerazione estrema. Si attivano processi di rilascio, apertura, accoglienza e consapevolezza trasformativa.

Oggi, il secondo giorno del nostro viaggio, siamo arrivati ai piedi di Arunachala, la montagna sacra che rappresenta Shiva. È considerata uno dei luoghi spirituali più magnetici del pianeta. Qui visse Ramana Maharshi, il grande santo indiano che trascorse lunghi anni in silenzio, insegnando attraverso il mouna (silenzio).

Il suo insegnamento si basa sulla domanda essenziale: “Chi sono io?”. Una riflessione continua che, per esclusione – non il corpo, non ciò che dico, non ciò che faccio – conduce a un’esperienza profonda del Sé.

Durante il lungo viaggio in pullman abbiamo meditato, letto e praticato stati contemplativi.

È il modo migliore di viaggiare: rendersi conto che il viaggio è interno, che tutto ciò che percepiamo fa parte di una coscienza più grande.

Questa esperienza mi riporta alla scelta fatta anni fa: vivere pienamente nel Sé. Dedicarmi interamente a questa ricerca mi dona una sensazione di integrità, completezza e pace che non ho trovato altrove. Questo è il modo in cui voglio vivere e attraversare ogni esperienza, anche quella della morte.

Stamattina abbiamo visitato un tempio dedicato a Shiva, uno dei più antichi dell’India. Ogni tempio è avvolto da una leggenda: si narra che Parvati, per scherzo, abbia coperto gli occhi di Shiva, causando l’oscuramento del mondo.

Per rimediare, Parvati creò un luogo sacro dove Shiva potesse meditare, sotto un albero di 5.000 anni. Attorno a quest’albero nacque lo Shiva Lingam, simbolo dell’unione tra maschile e femminile, e il tempio fu edificato.

Entrare in questi templi è un’esperienza che incanta. All’ingresso, la statua di Nandi, il toro sacro, simboleggia l’anima rivolta verso Shiva, con un piede sollevato in segno di attenzione e vigilanza. Subito dopo, un pilastro centrale rappresenta la colonna vertebrale, canale dell’energia che collega cielo e terra, irradiandola nel tempio.

All’interno, gli odori di incenso, i colori, le forme non sono solo elementi estetici, ma simboli che aprono panorami interiori. Diversamente dalla nostra cultura, che spesso spinge verso l’esterno, questi dettagli portano verso una liberazione interiore. I colori, gli odori e le forme sacre dell’India non creano attaccamenti, ma conducono alla devozione, all’umiltà e alla sacralità dell’esistenza.

Ed è questo che amo dell’India: la profonda intenzione di liberazione che permea ogni aspetto della sua spiritualità.


Giorno 4: Il Potere del Silenzio Interiore

Prosegue il nostro viaggio attraverso il sud dell’India.

Questo è il quarto giorno e oggi abbiamo visitato l’ashram fondato da Ramana Maharshi. È affascinante notare come la mente inizi a rallentare. Diventano più evidenti le afflizioni causate dai suoi turbinii: pensieri incessanti che generano desideri, attaccamenti, bisogni. Quando perseveriamo in un silenzio devozionale, queste strutture superflue cominciano a dissolversi.

Rallentare, associato alla profondità del silenzio interiore, è uno strumento straordinario per osservare le sovrastrutture inutili che abitano la nostra mente.

Ci circondiamo di relazioni, oggetti e circostanze superflue, credendo di non poter farne a meno, eppure ci rendono pesanti e infelici. Lasciarle andare, però, può generare sofferenza, perché una parte della nostra identità si è legata a queste illusioni. Questo turbine mentale, alimentato dalla frenesia quotidiana – le notizie, lo stress, il consumismo – ci vincola a ciò che non siamo.

Quando invece rallentiamo, quando disattiviamo questi meccanismi, torniamo a una condizione di naturale profondità. Da lì emerge una felicità spontanea, una sensazione di libertà dai ruoli, dagli attaccamenti, dagli oggetti e dalle emozioni. Questa libertà ci dona una sensazione di leggerezza e integrità.

Sono pensieri armoniosi, figli della nostra connessione profonda con la vita e con la natura.

Essi creano chiarezza e prosperità, una prosperità che nasce da un’esistenza allineata al nostro dharma – la legge naturale del nostro cammino. Per riconoscere le vere esigenze del nostro essere, però, dobbiamo coltivare un ambiente interiore di profondo ascolto. È lì che possiamo trasformare la nostra vocazione in azioni, progetti, scelte e relazioni significative.

Ci sono due modi principali per fermarsi.

Il primo è fermarsi esteriormente, ma spesso lo facciamo in modo superficiale.

C’è chi viaggia per staccare, ma si porta dietro le proprie ansie e preoccupazioni, coprendole con attività frenetiche. Le braci delle tensioni rimangono accese sotto la cenere. Oppure, se non ci fermiamo spontaneamente, la vita stessa ci costringe a farlo, attraverso crisi, incidenti o momenti di sofferenza.

Il secondo modo è fermarsi interiormente.

Questo richiede consapevolezza dei vortici mentali – ciò che la cultura vedica chiama vritti. Questi vortici generano bisogni e dipendenze che non ci nutrono realmente, ma ci danno solo piaceri effimeri. Fermarsi dentro significa osservare i nostri pensieri e desideri senza giudizio, riconoscendo la loro sterilità.

Tuttavia, rallentare spaventa. Abbiamo paura di rimanere indietro, di non essere ascoltati o accettati. Questa paura è radicata nella nostra percezione di essere indegni di amore e di vita stessa. Per questo rimaniamo intrappolati in una corsa incessante.

Ma possiamo lasciar andare queste paure.

Il primo passo è ascoltarle, accoglierle e sostare con loro, senza respingerle. Quando accettiamo queste emozioni, smettiamo di alimentarle con il nostro rifiuto e iniziamo a lasciarle dissolversi. Da questo processo nasce una quiete profonda, una pace interiore che ci consente di vedere chiaramente ciò che conta davvero.

Chi rallenta scopre che la vita non è una corsa, ma un miracolo che accade nell’istante presente. Non siamo qui per comprendere tutto, ma per sentire, celebrare e amare ciò che viviamo.

Il primo passo è imparare a sentire.

Rallentare internamente, immergersi nel sentire ed essere profondamente onesti con sé stessi. Da qui inizia la pace, e da qui può iniziare il vero cambiamento.


Giorno 5: Un Giorno a Pondicherry: Tra Cambiamenti, Spiritualità e Unità

Continua questo straordinario viaggio in India. Oggi abbiamo lasciato l’ashram di Ramana Maharshi, nel Tamil Nadu, e siamo arrivati a Pondicherry, un’ex colonia francese. Durante il viaggio molte cose sono cambiate, sia nel paesaggio che nelle sensazioni. In alcuni dettagli si percepisce un’eco dell’Europa: lo si nota nelle aiuole spartitraffico, nella cura delle piante e persino nello stile di guida.

In India il cambiamento è un flusso continuo, ce ne rendiamo conto sempre di più. La velocità è molto più lenta rispetto agli standard europei, eppure sembra che non esistano regole fisse: tutto è permesso, a patto che ciascuno sia attento, suoni il clacson e si prenda cura di ciò che fa. È un ritmo completamente diverso, più lento del nostro, e questo è uno dei grandi insegnamenti di oggi.

Arrivati a Pondicherry, abbiamo visitato un altro ashram, quello di Mère e di Sri Aurobindo.

L’insegnamento principale della giornata è stato comprendere che le realizzazioni spirituali, pur raggiungendo le stesse profondità o vette, si esprimono in modi apparentemente opposti o comunque totalmente diversi, a seconda dell’unicità della persona attraverso cui si manifestano. La corrente spirituale di Aurobindo e Mère, ad esempio, ha un approccio molto differente: sembra essere radicata in un mentale superiore che esplora queste realizzazioni per poi tradurle in opere concrete e progetti tangibili.

Domani visiteremo Auroville, un’espressione vivente di quella che può essere una visione spirituale del mondo, delle relazioni, della società e del vivere insieme.

Il concetto di evoluzione umana in termini spirituali, ovvero il significato e lo scopo della vita, è un approccio completamente diverso da quello di Ramana Maharshi. Tuttavia, è altrettanto affascinante e completa il diamante multiforme che è l’esperienza spirituale dell’uomo. Questo diamante ha infinite facce, ciascuna delle quali traduce in modo unico la spiritualità nella società, nelle relazioni e nella progettualità comune.

È straordinario osservare come, quando un individuo raggiunge una profonda realizzazione del Sé, questa esperienza autentica irradi una forza che influenza positivamente le persone intorno, attirandole come api al miele. Questo “nettare” spirituale è incredibilmente luminoso: trasforma i nostri corpi, il modo di alimentarci, la vitalità, la frequenza delle nostre emozioni, il funzionamento della mente e, soprattutto, la visione esistenziale. Ci mostra il proposito della vita e ci connette con la nostra vocazione più profonda.

Per ogni essere umano esiste un sentiero unico verso la realizzazione del divino. Questo sentiero è affascinante proprio perché si esprime in modi infinitamente diversi. Accettare questa apparente diversità è fondamentale, poiché la bellezza dell’auto-realizzazione risiede nella sua unicità. Ogni volta che entriamo in contatto con un essere realizzato, autentico, che vive in armonia con il proprio Sé e con il Dharma, percepiamo la stessa meraviglia, anche se la forma della sua espressione può essere radicalmente diversa o persino opposta alla nostra.

L’India è maestra nell’insegnare che, al di là delle forme e delle apparenti opposizioni, l’essenza è sempre la stessa. Quando eliminiamo dalla mente il senso di separazione, riconosciamo che la vita è una sola, che tutto ciò che ci circonda – alberi, piante, animali, natura – è parte della stessa esperienza vitale. In questa sensazione di unità, fiorisce spontaneamente un senso di fratellanza e sorellanza autentica. Si percepisce ogni essere come parte della stessa famiglia, emanazione di una medesima creazione. È un sentimento meraviglioso.

Se riuscissimo a coltivare questo senso di unità nei processi educativi, la conflittualità si estinguerebbe. La pace germoglierebbe prima dentro di noi, nel cuore, nei pensieri e nella visione del mondo, portando armonia tra l’essere umano e la vita stessa.

Grazie per accompagnarmi in questo viaggio. Domani vi racconterò dell’esperienza di un matrimonio.


Giorno 6 | Il Flusso della Madre: Lasciare Andare per Accogliere l’Infinito

Oggi il nostro viaggio in India ci ha condotti al Matrimandir di Auroville, ed è stato un’esperienza di incredibile contrasto, seppur solo apparente, rispetto al tempio e alle modalità espressive dell’ashram di Ramana Maharshi.

Ramana ha vissuto e manifestato la realizzazione del Sé attraverso un ritorno all’essenzialità più pura: il suo corpo era coperto da un semplice panno, e viveva immerso in una ricchezza infinita, sia interiore che esteriore. La sua vita era un abbandono totale, uno stato di resa alla volontà divina, affidandosi completamente alla Provvidenza, persino per il cibo.

Oggi, invece, abbiamo sperimentato una realtà esterna completamente diversa, sebbene ugualmente profonda. Siamo entrati in contatto con l’energia della Madre: un’energia che nutre, ma che si esprime anche attraverso l’abbondanza e la ricchezza. Sembrava di trovarci in un Eden, un paradiso terrestre, circondati da sublimi espressioni artistiche. In questi anni, molte persone hanno contribuito alla crescita di Auroville donando opere d’arte, e la cosa che più ha colpito è stata l’assenza di targhette o firme. Ogni creazione è un dono anonimo, un’espressione di talento offerta alla collettività, incarnando lo spirito del dono che ci ricollega alla vita.

Tutto ciò che facciamo non dovrebbe essere per noi stessi, né per essere celebrati, riconosciuti o elevati nel nostro ego. Al contrario, dovremmo lasciarlo andare, come espressione di una mente superiore, fecondata dal divino e tradotta in forme e manifestazioni. Il nostro scopo dovrebbe essere servire, donare, esprimere frequenze superiori. Non essere schiavi di un ego frustrato o di una personalità in cerca di compensazione, ma vibrare profondamente nel Sé, lasciando che le ispirazioni più pure si trasformino in doni per l’umanità. Questi semi di bellezza, piantati con intenzioni autentiche, hanno il potere di purificare la mente, aprire il cuore, liberare la coscienza e ispirarci con la loro evocativa grandiosità.

È stata un’esperienza interiore straordinaria, un’apertura alla Madre – intesa come Madre universale, nutrice, ispiratrice e guaritrice. Un aspetto divino della vita. Il cambiamento di energia è stato incredibile. Nei giorni scorsi, nel silenzio intimo dell’ashram di Ramana, sono emersi stati estatici di resa totale e chiarezza interiore, momenti di integrità, presenza e consapevolezza meravigliosa. Un oceano di consapevolezza. Tuttavia, oggi, per un istante, si è affacciata la paura di perdere quegli stati. Si è manifestata una resistenza ad aprirsi al nuovo. Spesso, non riusciamo a lasciar andare: ci attacchiamo non solo al dolore, alle relazioni finite o agli oggetti, ma persino alla bellezza e agli stati superiori di coscienza. Questo attaccamento ci imprigiona, fossilizza ciò che dovrebbe fluire, quando la vita è invece un movimento costante.

Quando quella paura è stata riconosciuta, è stata accolta con amore. Aprendo le mani, il cuore, ci si è lasciati attraversare da una presenza di luce e silenzio, dalla frequenza della Madre. È stato un abbandono totale, come un figlio tra le braccia della propria madre, ed è stato straordinario. Questo cambiamento ha mostrato come la coscienza divina sia senza limiti, un flusso continuo che si manifesta in mille forme. La prosperità e la ricchezza di questa infinita consapevolezza ci vengono offerte: sta a noi accoglierle.

Il grande insegnamento di oggi è stato lasciare andare. Solo ciò che lasciamo fluire può rinnovarsi, moltiplicarsi e restare vivo. L’amore donato, se non trattenuto, cresce. Anche il dolore, se trattenuto per paura, ci imprigiona. Ma se lasciato andare, si dissolve. La Madre è stata percepita come espressione divina di nutrice universale, fonte di ispirazione e forza creatrice. In lei, lo spirito si riconcilia con la materia, perché la materia stessa è spirito, è Madre.

Ogni madre, ogni sua manifestazione, merita gratitudine. Che questo momento sia madre per ciascuno di noi, e che anche noi possiamo essere madri dei nostri pensieri, sentimenti e stati d’animo. Qualunque cosa entri nel nostro campo, ricordiamoci di accoglierla con amore e lasciarla fluire.


Sulle Orme della Devozione

Abbiamo appena ripreso il nostro viaggio. Stiamo andando verso la nostra prossima meta.

Ci aspettano otto ore di pullman per completare la parte finale di questo bellissimo pellegrinaggio in India.

Siamo sulle orme dei maestri e ci troviamo in un periodo molto particolare. È appena iniziato il Kumbha Melā, la festa religiosa più importante dell’India.

Questo evento si tiene ogni quattro anni, ma il grande Kumbha Melā si celebra ogni dodici anni, e questa edizione è ancora più speciale perché avviene una volta ogni 144 anni, grazie a un raro allineamento planetario.

Milioni di persone si spostano, mosse da un sentimento profondo di devozione. Si narra che nel punto in cui tre fiumi — tra cui il Gange e il Sarasvati — si incontrano, immergersi nelle acque purifichi dai peccati, liberi dal karma e interrompa il ciclo delle rinascite. È un’esperienza unica immergersi in una cultura così ricca, in un contesto spirituale e artistico, dove si possono osservare tradizioni e opere straordinarie.

Ieri abbiamo visitato un tempio di monaci, considerato uno dei luoghi più meravigliosi al mondo, dopo il Taj Mahal. Per motivi di sicurezza non è possibile fare riprese all’interno, quindi bisogna viverlo pienamente con i propri occhi. È stato incredibile vedere sia il museo sia la storia della costruzione del tempio, iniziata nel 1500, con diversi re che nel tempo hanno contribuito alla sua realizzazione.

È stata un’esperienza affascinante scoprire la simbologia, come quella di Shiva danzante, che rappresenta la danza del cosmo.

La statua di Shiva, posta all’ingresso del CERN di Ginevra, simboleggia come dal vuoto cosmico nascano e si dissolvano particelle in un ciclo continuo. Shiva tiene nelle mani il tamburo della creazione e il fuoco della distruzione, circondato dai pianeti e dalla galassia, un simbolo antico che rappresenta la relazione tra macrocosmo e microcosmo.

Un grande insegnamento della giornata di ieri è stato osservare i due aspetti della devozione.

Da un lato, c’è un sentimento profondo di abbandono al divino, che purifica il cuore e libera la mente, andando oltre l’ego e innalzando i sentimenti.

Dall’altro lato, c’è una devozione compensativa, che può diventare una forma di dipendenza per chi vive nella disperazione. Questo richiede discernimento per comprendere come integrare questi elementi nella propria vita, evitando rigidità o esaltazione.

La devozione muove l’India in modi straordinari. Milioni di persone si spostano per liberarsi dal karma, un fenomeno che lascia senza parole.

Tuttavia, soprattutto nelle classi più povere, si nota un’accettazione profonda della propria condizione, che può essere vista sia come una forza che come una forma di rassegnazione. Accolgono ciò che la vita offre, senza rifiutarlo, ma a volte manca uno slancio per superare le difficoltà.

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Valentina
Valentina
15 giorni fa

Wow grazie per portarci con voi 🙏🙏🙏

Anna Pancanti
Anna Pancanti
15 giorni fa

Grazie 🙏

franca valacchi
franca valacchi
15 giorni fa

Grazie Daniel è bello sentirti , sentirmi lì è un bel dono , un pellegrinaggio con il cuore.
Felice pellegrinaggio a voi tutti
Franca Valacchi

Anna
Anna
14 giorni fa

Grazie! La tua condivisione di questo viaggio è un dono prezioso.🙏

Tatiana
Tatiana
14 giorni fa

Grazie per questa condivisione preziosa e inclusiva!

Michela Paradiso
Michela Paradiso
14 giorni fa

Grazie di cuore Daniel per queste perle di condivisione che ci riempiono il cuore! È un po’ come essere lì con voi! GRAZIE. Michela Paradiso

Rita B.
Rita B.
14 giorni fa

Daniel ero in India dal Dicembre ’23 al Marzo’24 e ho fatto qst percorso nel Tamil Nadu;
rivedere attraverso il tuo viaggio quei luoghi, mi dà sensazioni meravigliose, grazie e buona esperienza

Franca
Franca
8 giorni fa

Grazie Daniel, una suggestione profonda essere madre di ogni pensiero, sensazione emozione ci dà se so e profondità e mi dire che questo è il miracolo della vita!! 🙏♥️

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